DISAGIO PSICHICO: 17 MILIONI DI ITALIANI NE SOFFRONO IN SILENZIO

Estratto da Il Fatto Quotidiano del Lunedì di Elisabetta Ambrosi – 13 gennaio 2014

Storie di manager, calciatori, musicisti e persone comuni. Tutti affetti da un disagio trasversale. Chi ne parla è bollato.

Eppure con una terapia adeguata si guarisce.

Disagio psichico: 17 milioni di italiani ne soffrono in silenzio

“Lavoravo alla Fiat, ero un pezzo grosso. Viaggiavo spessissimo. Poi un giorno, su un Boeing 747, ho cominciato ad ansimare, un terrore impossibile da descrivere. Mi sono aggrappato alla hostess dicendole con voce strozzata: -Muoio-“. Dopo quell’episodio F. si è dovuto fermare. Tornare al suo posto era impossibile, “non riuscivo più neanche ad attraversare la strada, era come se un diaframma mi separasse dal mondo”. Poi le dimissioni, le cure per una diagnosi di depressione, un altro lavoro e un’altra vita.

C., invece, era una promessa del calcio, giocava in serie B. Fino a quando arrivò la notizia che un talent scout del Milan sarebbe venuto a vedere la partita. “Crollai e fui sostituito, smisi di giocare. Per anni ho sofferto di gravi sintomi, mi sembrava che la mia vita fosse finita. Più tardi ho capito, grazie a uno psicoanalista, che avevo paura della libertà di scelta. Oggi vivo in campagna con mia moglie, sono un’altra persona”.

Ancora oggi, sia F. che C., che pure si definiscono “più felici di prima”, non osano dire il loro vero nome, per il timore di essere additati come persone disturbate, malate, mal funzionanti. Eppure, come ha scritto Tahar Ben Jelloun in L’albergo dei poveri, “la depressione colpisce a caso: si tratta di una malattia, non di uno stato d’animo”. Di più, è una “malattia democratica”, per usare l’espressione di un grande depresso come Montanelli, trasversale al ceto sociale e trasversale al genere (anche se i numeri sono a svantaggio delle donne, per via probabilmente della maggiore pressione sociale subita, vi è per loro la maggiore facilità ad ammettere il malessere) che la crisi sta rendendo ancora più insostenibile.

La malattia “democratica”
Il disagio psichico è qualcosa che ci accomuna: secondo una recente ricerca della Società Italiana di Psichiatria, sono circa 17 milioni gli italiani con problemi di salute mentale. Tra questi i principali sono: depressione, disturbi d’ansia, attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress, insonnia e somatizzazioni varie. Problemi ai quali, come ha denunciato più volte lo stesso presidente della Sip, Claudio Mencacci, non corrisponde un’offerta di cure adatte. Di fatto solo l’8-16% incontra un professionista, e solo il 2-9% ha un trattamento adeguato, fatto di psicoterapia e farmaci. Quelli giusti, però! Infatti, l’altro tema scottante che la questione della sofferenza mentale porta con sé, è il grande abuso di psicofarmaci cui gli italiani fanno sempre più ricorso: benzodiazepine, ansiolitici e ipnotici, ma anche antidepressivi. Il loro uso risulta quadruplicato nell’ultimo decennio, secondo i dati del Rapporto Osservasalute 2012, proprio nell’anno in cui il Prozac compie 25 anni.

Questo può essere dovuto ad una maggiore consapevolezza delle malattie psichiche, certo, ma anche a causa di prescrizioni troppo disinvolte (talvolta persino agli adolescenti, come ha segnalato un’allarmante indagine dell’Università di Torino), elargite magari dal medico di base, senza il consulto di un proferssionista. In effetti trovare lo psichiatra e il terapeuta giusto a volte risulta una difficoltà. Il pubblico riduce le risorse e le offerte di cura, mentre chi si rivolge al privato si trova di fronte ad un professionista – in Italia ci sono circa 40.000 psicoterapeuti e quasi altrettanti psicologi “semplici” – che di fatto viene monitorato, quando ciò accade, solo dai supervisori della scuola di appartenenza (circa 340 in Italia).

Tanta sofferenza e cure fai da te
Non sempre il primo esperto trovato è quello giusto, come testimonia la vicenda di Sara, quarant’anni e due figli piccoli. Reduce da un lungo trattamento psicoanalitico fallito, dopo il quale le è stata imposta una cura di antidepressivi sbagliata per un disturbo bipolare, ha affrontato un angosciante calvario, dal quale è uscita solo trovando il coraggio di cambiare specialista. “Gli errori sanitari esistono anche in questo ambito”, dice, “ma questo non vuole dire che non sia fondamentale chiedere aiuto, anzi”.

Anche per Francesca, giovanissima musicista, uscire dalla sofferenza è stato “un percorso fatto di tentativi ed errori”. Lei, un talento in crescita, racconta del momento in cui tutto si è bloccato: “La cosa peggiore è sentirsi incompresa, emarginata. Nel mondo dello spettacolo devi avere un’immagine invincibile. Mi ha aiutato un medico illuminato”.

La patologia e la crisi
L’ultimo capitolo riguarda il rapporto tra la crisi e la salute mentale dei cittadini. Non solo il tema della sofferenza psichica è dimenticato dal dibattito pubblico (salvo essere riportato in vita da casi drammatici come quello dell’uccisione a Bari della psichiatra Paola Labriola), ma tg e giornali, se trattano il tema, raccontano cronache di suicidi e omicidi in maniera spesso distorta e generalizzante, etichettando come suicidi da crisi tutte le morti di persone in difficoltà economica. È ormai assodato che esista un rapporto diretto tra disoccupazione e tagli allo stato sociale con l’aumento del rischio di depressione, di suicidi e altre patologie, come mostra ad esempio l’ultimo rapporto dell’Oms Europa sulle diseguaglianze (esemplare il caso Grecia, che prima della crisi aveva il tasso di suicidi più basso d’Europa, 3 ogni 100.000 abitanti).“Uno stato che taglia su tutto”, sottolinea la psicoanalista Marta Tibaldi, “è simile a un genitore che perseguita invece di prendersi cura, e può riattivare vissuti traumatici infantili o aggravare modalità già fragili di rapporto con il mondo esterno”. Ma se è vero, come racconta il libro di Elena Marisol Brandolini, Morire di non lavoro (Ediesse), che la disoccupazione può uccidere, difficilmente potremo sapere cosa davvero ha spinto le circa quattromila persone che, nel 2013, in Italia, si sono tolte la vita (con casi particolarmente strazianti, come quelli dei coniugi di Civitanova Marche).

Che sia stato un vissuto dell’infanzia o un licenziamento, di sicuro chi si uccide non lo fa per motivi astratti o, come ha scritto Forster Wallace in Infinite Jest, “perché la morte comincia a sembrare attraente”, ma lo fa nello stesso modo in cui “una persona intrappolata si butterebbe da un palazzo in fiamme”. Questo andrebbe sempre tenuto presente.

L’altro fondamentale messaggio da far arrivare è che dalla depressione e dalla sofferenza mentale si può uscire, anzi, guarire. La strada è da sempre la stessa, ieri come oggi: accettare di star male e chiedere aiuto, per poter così trasformare l’angoscia cieca ed il dolore attraverso la comprensione delle ragioni – antiche e nuove, biologiche, emotive, sociali – che li hanno generati.